Un rosa spinto ma sempre romantico, come i girasoli….

Il colore dei girasoli

di Rosa Piccante

Era un periodo in cui avevo una gran voglia di fare sesso, oltre il lecito. Non ci vedevo nulla di strano e di peccaminoso nel desiderare questo. Questo eccesso si manifestava all’incirca un paio di volte in un anno.Nei cambi di stagione, quasi fosse un’allergia. Proprio come adesso. Semmai il problema era trovare qualcuno che mi andasse a genio, avevo una pletora di aspiranti, ma quello a cui ero interessata non mi filava proprio. Avevo usato ogni stratagemma possibile, dal caffè all’aperitivo, addirittura mi ero “umiliata” invitandolo a cena, ma lui, niente. Ricordo una volta, in quel bar del centro, stavamo bevendo il caffè e cercavo in ogni modo di “distrarlo”, alzando la gonna quel tanto per permettergli la vista delle mie mutandine.

Neanche un’occhiata. Ora i casi sono due, o il boy è gay oppure io sono una ciofeca. Appurato, a detta delle amiche, che la seconda descrizione non corrispondeva al vero, rimaneva la prima soluzione. O semplicemente non ero il suo tipo, ma non degnarmi di uno sguardo mi faceva sentire a terra. Mi dovevo riprendere in fretta. Mi trovavo ad Asolo, ridente paesino nel trevigiano, per puro caso. Ero diretta a Feltre per incontrare un cliente della ditta di cosmesi per la quale lavoravo da un paio d’anni.

Cercai uno svago in quella mostra di pittura.

Era prossima alla chiusura e non volevo perderla. I quadri riproducevano solo due soggetti, modelle e girasoli. Le modelle erano “collocate” tutte in zone di mare, alcune vestite con abiti dai colori accesi, altre avvolte in veli trasparenti e le ultime, si andava in progressione, completamente nude. Il pittore aveva buon gusto. Sebbene l’autore avesse messo in bella evidenza le parti intime, le aveva “pitturate” con eleganza, senza alcuna volgarità.

Gradivo il suo stile.

Più banali erano i quadri dei girasoli, cose già viste, che non destavano in me alcun interesse e non mi regalarono nessuna emozione. Questo era il mio modesto giudizio. Mi sentii toccare sulla spalla. Un ragazzo dall’aria vagamente bohemienne mi chiese se mi piaceva la mostra. Risposi con la mia solita naturalezza, queste sì, quelle no. Peccato che avessi davanti proprio l’autore dei quadri, me lo disse più avanti. Ormai non potevo più tirarmi indietro e modificare il mio giudizio. Meglio la sincerità.

Gli spiegai il motivo per cui non mi piacevano le tele con i girasoli, ma subito dopo lo elogiai facendogli i complimenti per quelli delle modelle. Mi chiese se volevo posare per lui. Quando? Adesso. Cavolo, questo mi sembra molto deciso. Mi ha appena incontrata e non abbiamo preso nemmeno un caffé insieme e già…

Avevo la giornata libera e accettai. Salimmo sulla sua macchina, alquanto sgangherata, fa parte del personaggio, l’artista squattrinato! Aveva lo studio nello stabile di una vecchia tipografia dismessa da una decina d’anni. Si avvertiva ancora l’odore dell’inchiostro e dei macchinari, alcuni ammucchiati in un angolo e ricoperti da teli impolverati. Al primo sguardo notai una gran confusione di tele e colori. C’erano opere appena abbozzate, altre in fase di lavorazione e quelle pronte allineate in perfetto ordine. Era un disordine apparentemente organizzato, secondo una propria logica. Mise la tela sul cavalletto e mi chiese se volevo spogliarmi. Gli dissi che preferivo avvolgermi in quel velo bianco che vedevo alle sue spalle. Me lo porse e iniziai a togliermi i vestiti. Certamente era abituato a vedere modelle nude o seminude, ma quando lo fui, vidi che assentiva con la testa in un gesto di sincera approvazione. Mi avvolsi nel velo e lui mi venne vicino per sistemarlo nel modo in cui preferiva. Lasciò scoperto un seno e l’ombelico e mi coprì il pube, ma le gambe erano ben visibili. Il tocco della sua mano era delicato, mentre mi sistemava il velo mi sfiorò un capezzolo che subito divenne dritto.

Ero molto presa da questa nuova esperienza. Si avviò al suo cavalletto e prese dei colori strizzandoli nella tavolozza. Iniziò a dipingere. Mi chiese di muovermi il meno possibile. Uno sguardo a me e uno alla tela.

Notai che i colpi di pennello a volte erano molto decisi, quasi una punteggiatura e altre invece molto lunghi e delicati. Ero curiosa di vedere il risultato finale. Aveva inserito un cd con musica classica, gli dissi che non era la mia preferita, mi chiese allora un mio gusto personale musicale e gli proposi musica ambient. Se rilassante doveva essere almeno quella mi piaceva. Trovò il cd con la musica richiesta. Mi stupivo di come facessero a produrre musica i suoi cd, erano multicolor, li prendeva con le dita imbrattate di colore, eppure andavano ancora. Dopo un quarto d’ora di quasi immobilità chiesi una pausa, avevo le gambe anchilosate e dovevo muovermi un po’, non ero una modella professionista, di quelle che riescono per ore a stare ferme immobili come statue di cera. Mi concesse la pausa, ma solo per sgranchirmi le gambe, il resto del corpo doveva per forza di cose rimanere dov’era, capii che la vita di modella era una vera sofferenza. Dall’esterno sembra tutto facile. Fumammo una sigaretta.

Mi disse che doveva allestire una mostra a Tokio tra due mesi, e che avrebbe messo in mostra anche il mio ritratto. Mi sentii lusingata da tutto ciò. Riflettevo su come cambiano le giornate, mi ero alzata col morale sotto i tacchi e ora mi trovavo catapultata nientemeno che a Tokio.   Riprendemmo la seduta. Mentre dipingeva parlavamo di viaggi, mi disse dei posti che aveva visitato, per lavoro e per svago, ne avevamo qualcuno in comune, tipo il Nepal e l’India. Mi chiese di stare ferma per un attimo mentre disegnava i contorni del viso, poi smise all’improvviso e si recò verso il frigorifero. «Vuoi qualcosa da bere? », mi chiese. Tirò fuori due birre ghiacciate e le aprì, me ne porse una e bevemmo alla bottiglia. Stava armeggiando dentro il frigo cercando qualcosa, un vassoio di fragole. Aveva avuto un’intuizione, geniale secondo lui, prese una fragolina, ovviamente gelata, e me la mise vicino all’ombelico. Mi si drizzarono i capezzoli e forse qualcos’altro…diamine un minimo di riguardo no eh? Era un bel tipo, simpatico e parlava al momento opportuno, quasi misurando le parole. Io, al contrario, lo tempestavo di domande e volevo risposte. Lo vidi prendere una boccetta piccola, conteneva dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, che solitamente si usa sul gelato o giù di lì. Con mia sorpresa (e vorrei vedere voi amiche care), ne versò tre gocce tre nel mio ombelico. Ero a posto, aceto più fragola, ci facciamo l’aperitivo gli dissi. Tornò al suo cavalletto e ritrasse il tutto, poi quando ebbe finito s’inginocchiò (pensai, finalmente un uomo ai miei piedi) e cominciò a succhiarmi (avete capito bene) l’ombelico, col suo prezioso nettare. Diceva che era la maniera giusta, e unica per lui, per gustarlo come si deve. Non aveva fatto i conti con la mia reazione. Come spiegavo all’inizio era un periodo di eccesso d’ormoni, e quando mi sentii baciare l’ombelico fui presa da una voglia irrefrenabile. Scesi dalla mia posizione d’immobilità e lo baciai sulla bocca. Ci ruzzolammo per terra avvinghiati l’uno all’altro, avevo addosso solo un velo trasparente e le mutandine. Gli montai cavalcioni di peso bloccandolo schiena al pavimento. Strusciavo il mio sesso contro il suo e lo sentivo aumentare dentro i suoi jeans. Ero già tutta bagnata e lo volevo dentro di me. Era molto piacevole anche così, avevo cura si sfiorare il mio clitoride al suo membro eretto ed ero prossima all’orgasmo. Bagnai le mutandine. Lui stava soffrendo in quella condizione così mi alzai e ci liberammo dei nostri vestiti. Rimanemmo nella stessa posizione, io sopra e lui sotto, trovò in un attimo la porta della felicità che lo accolse con piacere. Mi toccava e stringeva i miei capezzoli fino a farmi quasi male, quasi ho detto, perché al momento di massimo godimento smetteva, e poi ricominciava, era una sorta di montagne russe. Bellissimo, tra l’altro. Mi muovevo al rallentatore e lo sentivo pulsare dentro la mia fica bagnata, poi aumentammo il ritmo ed esplodemmo in un simultaneo orgasmo…

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