Trieste, tre giorni in compagnia di una dama dalle maniere gentili.

Trieste, tre giorni in compagnia di una dama dalle maniere gentili.

di Francesca Mancini

«Non aspettatevi la grande opera quando venite a Trieste: Trieste non è una città d’arte, è una città di sensazioni.» Così le guide triestine ve la presenteranno, schiette ma visibilmente innamorate.

E la prima sensazione che proverete passeggiando tra le sue strade sarà di aver valicato il confine ed essere approdate in Austria. Se poi inizierete la vostra visita da piazza dell’Unità d’Italia, allora sentirete anche di aver fatto un rapido viaggio indietro nel tempo.

Austera, raffinata, conturbante con suoi eleganti palazzi settecenteschi e ottocenteschi, è la piazza aperta sul mare più grande d’Europa e il salotto buono dei triestini, che qui amano passeggiare e sorseggiare un buon “capo in b”, caffè con latte caldo e tanta schiuma, rigorosamente servito in un bicchierino di vetro, seduti ai tavoli di uno dei tanti caffè storici della città: il Caffè degli Specchi. Se ci arrivate al tramonto o di sera, vi sembrerà di essere state invitate a un ballo di corte e proverete un certo imbarazzo nel rendervi conto di non avere l’abito adeguato. Questa piazza è una nobildonna esperta: si concede agli ammiratori senza perdere il contegno.

Accanto, a sinistra, la sua damigella, piazza della Borsa, se ne sta defilata ma non meno bella e dalle vesti altrettanto ampie. Qui ammirerete il bell’edificio in stile liberty realizzato dall’architetto Max Fabiani nel 1905, che nasconde la sua entrata in un vicolo stretto alla sua sinistra; il palazzo che contraddistingue la piazza e che costituisce uno degli esempi più rilevanti di neoclassico triestino, sede attuale della Camera di commercio; e l’antica galleria coperta del palazzo Tergesteo che vi conduce fino alla piazza antistante il teatro lirico Giuseppe Verdi.

Quasi invisibile, e un poco imbarazzato dalla sua stessa semplicità, al centro di piazza della Borsa sta il passo della Portizza, un tunnel, un tempo un piccolo canale, che con il suo Ercole in bassorilievo, incappucciato da una testa di leone e le zampe incrociate sotto al mento, vi dà il benvenuto in quello che in passato era il ghetto, ora zona di antiquari dalle vetrine zeppe di oggetti dimenticati e tazzine in porcellana inglese e tedesca: un dedalo di vicoli e stradine pedonali con numerosi locali e ristoranti dove fare una sosta per un pranzo veloce o per bere un drink dopo cena. La taverna del ghetto offre gustosi piatti triestini in un ambiente ospitale e informale.

Ora dimenticate per un attimo fasti, dame e balli, e salite verso il colle di San Giusto alla ricerca dell’anima romana e medievale della città. Seguendo il monte, se ne ritrovano importanti tracce, come il teatro romano della fine del i secolo d.C. e degli inizi del II, addossato alla collina secondo il modello greco, che mostra ancora importanti resti della scena a cinque porte. Nella zona della piazza di San Silvestro, una chiesa del secolo xi, si trova un arco a un solo fornice, detto Arco di Riccardo, probabilmente del 33 a.C., e una delle porte secondarie della città. Ma il luogo dove meglio si ammirano le stratificazioni del tempo romano e di quello paleocristiano e quindi romanico è la maestosa, complessa costruzione della chiesa a cinque navate di San Giusto. L’aspetto attuale della cattedrale deriva dall’unificazione delle due preesistenti chiese di Santa Maria e del martire san Giusto – divise in passato da una stradina nel mezzo –, che vennero unite sotto uno stesso tetto, abbattendo le due navate minori e creando una enorme navata mediana. Oggi da qui si gode una bellissima vista sul mare luminoso e sulle colline rocciose.

Trieste nasconde ancora tanti volti e Maria Teresa d’Austria si preoccupò di imbellettarne uno nel XVIII secolo, quando diede ordine di interrare le saline, che si trovavano fuori dalle mura della città inerpicata, in quello che oggi è il lungomare, per farvi costruire uno dei quartieri più suggestivi di Trieste, il borgo Teresiano. Il borgo è il primo esempio di pianificazione urbana moderna. È attraversato da un largo canale – le cui acque al tramonto si imporporano come le gote di una servetta colta in fallo – che un tempo permetteva alle navi di entrare e scaricare le merci. Il canale termina su una piazza dominata dalla neoclassica chiesa di Sant’Antonio – la cosa meno bella di Trieste: probabilmente l’accompagnatore grigiastro della vicina chiesa ortodossa, più allegra e vitale con le sue cupole di merletto celeste (se vi trovate a discutere dei meriti dell’una e dell’altra, fatelo nel vicino ed ennesimo caffè storico triestino: Stella Polare). A lato di uno dei due ponti che attraversano il canale, Ponte Rosso, c’è un piccolo mercato di frutta e verdura e fiori, che purtroppo con gli anni ha perso i caratteristici richiami che le venditrici, chiamate venderigole, lanciavano ai loro clienti – parole in triestino, un dialetto che questo popolo cordiale e ospitale non sbatte mai in faccia ai turisti. Come fare allora a conoscere l’anima di questa città? Ci sono le parole aspre e malinconiche di Umberto Saba, quelle dolorose e lucide di Italo Svevo, le torbide e dure di James Joyce. Tre uomini e tre scrittori che si rincorrevano da un bar all’altro, si aspettavano e si perdevano al principesco caffè Tommaseo, all’austero San Marco.

E se avete bevuto troppo caffè e avete solo voglia di camminare, andate a cercare i palazzi che li hanno visti nascere, amare e morire; le librerie tra i cui polverosi scaffali hanno lavorato, cercato, scritto e patito. Se siete appassionate di libri cercate i loro luoghi: vi arresterete davanti ai portoni nascosti dai frondosi alberi di viale xx Settembre, boccheggerete su una stradina in salita alla ricerca di via Riborgo 25 e vi arresterete deluse quando scoprirete che la libreria di Joyce che da ore aspettavate di vedere ha lasciato il posto a una grande banca.

Pazienza – io Trieste l’ho vista con gli occhi di un poeta:

Ho attraversato tutta la città.

Poi ho salita un’erta,

popolosa in principio, in là deserta,

chiusa da un muricciolo:

un cantuccio in cui solo

siedo; e mi pare che dove esso termina

termini la città.

Trieste ha una scontrosa

grazia. Se piace,

è come un ragazzaccio aspro e vorace,

con gli occhi azzurri e mani troppo grandi

per regalare un fiore;

come un amore

con gelosia.

A Trieste, ho dormito proprio di fronte a quel muricciolo, nell’accogliente e delizioso B&B Ariamarina.

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